21 Maggio 2025


Sapete chi è Morgana? No, non la leggendaria figura della mitologia celtica a volte fata buona che aiuta il fratellastro Re Artù e a volte strega malefica e diabolica che trama per sottrargli la corona di Britannia, ma quella donna, fuori dagli schemi, che le scrittrici Michela Murgia e Chiara Tagliaferri hanno assurto a protagonista dei loro libri, ‘Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe’ del 2019 e ‘Morgana. L’uomo ricco sono io’ del 2021. Entrambe le opere sono state ispirate dall’omonimo podcast di cui le due scrittrici sono state ideatrici, autrici e lettrici. Si tratta di una raccolta di storie con protagoniste femminili (ci sono solo un paio di eccezioni) che, come l’ambiguo personaggio mitologico, hanno deciso di affermarsi nel mondo seguendo ognuna le proprie inclinazioni, i propri desideri e sogni anche quando questi stridevano nettamente e mostruosamente con la morale comune tanto da venire bollate ed emarginate dalla società. Hanno tutte vite al limite, storie sordide e sommerse con infanzie così violente da far rabbrividire e commuovere al tempo stesso. Donne che proprio per la loro caparbietà e forza di volontà sono riuscite a riscattarsi e a farcela nonostante tutto e donne che invece sono state sconfitte dalla brutalità, dall’inganno e dalla sopraffazione fisica e mentale.
Qualche giorno dopo avere ascoltato tra le storie del podcast quella di Luoisa May Alcott, mi imbattei nel rifacimento cinematografico di Piccole donne di cui la famosa scrittrice americana fu l’autrice. In realtà il film mescola le prime due opere delle quattro che Louisa scrisse per ragazzi e adolescenti del suo tempo e cioè Piccole donne e Piccole donne crescono pubblicate rispettivamente nel 1868 e 1869. La regista Greta Gerwig con dei salti temporali a ritroso dal 1868 al 1861 racconta la storia della famiglia March nel momento in cui Jo, istitutrice privata a New York per necessità, riceve dalla sorella Meg comunicazione sulle precarie condizioni di salute della terzogenita Beth. E mentre torna a casa, Jo ricorda la propria vita prima di trasferirsi a New York.
Il film mi piacque così tanto che tornai ad ascoltare il podcast con maggiore attenzione per fare i miei approfondimenti. La storia, nelle linee generali, è nota: la famiglia March ingaggia una lotta con le difficoltà quotidiane del tempo facendo a pugni con le ristrettezze economiche aggravate dall’assenza da casa di entrambi i genitori: Jo, Meg, Beth ed Amy March sono prive della presenza del capofamiglia (un cappellano da tempo via da casa per combattere la Guerra di Secessione americana) e della guida morale ed educativa della madre, più incline ad accudire e sfamare un vicinato povero e malato che le proprie figlie, che vengono in tal modo lasciate libere di gestirsi le giornate seguendo ognuna le proprie inclinazioni.
Anche se nelle intenzioni della scrittrice il libro non doveva essere autobiografico in realtà esso è la trasposizione su carta della vita della famiglia Alcott vittima della eccentricità e dell’egocentrismo di un padre, Amos Bronson Alcott, un insegnante e convinto trascendentalista, che per perseguire ostinatamente le proprie utopie (aprì molte scuole basate su metodi educativi sperimentali e troppo avveniristici), di fatto pose la famiglia in condizioni economiche perennemente disastrose privando le quattro figlie, Anna, Louisa, Elizabeth e Abigail di una casa stabile, del cibo e di vestiti caldi. Tanto che, mentre il denaro importa poco ad entrambi i coniugi, Louisa ne sarà ossessionata e impiegherà tutte le sue energie per mantenere l’intera famiglia, accudire i genitori malati, fornire una dote alle altre sorelle e saldare i debiti contratti dalle imprese fallimentari dei genitori divenendone essa stessa padre e madre responsabili. Per tali motivi Louisa resterà imprigionata tra le pareti domestiche concentrata ad accomodare e riparare la sua famiglia e dalla sua stanza, in cui sta chiusa a scrivere per intere giornate, vedrà andare via le sorelle Anna e Abigail per seguire ognuna i propri sogni.
In una delle molte lettere a noi giunte che Louisa scrisse all’amica Maria Porter, agli editori e alla sua famiglia, ella profetizza il suo destino: “Quando ho avuto la gioventù non avevo i soldi. Ora ho i soldi ma non ho tempo. E quando avrò tempo, se mai ne avrò, non avrò la salute per godermi la vita”. La scrittura forsennata a cui si dedica con l’unico scopo di guadagnare per mantenere e risollevare la famiglia le ruberà il tempo della giovinezza, deputato agli svaghi e al godimento, e le precluderà la possibilità di una vita lunga e in salute divenendo una delle cause della sua prematura morte.
Delle quattro figlie Alcott, le due maggiori andarono a lavorare, già dall’età di sedici anni, come domestiche, governanti, istitutrici, sarte e lavandaie. Louisa trova nella scrittura rifugio dalle pene familiari e dalla durezza dei lavori e, nella speranza di poter vivere un giorno della sua penna, a diciassette anni riesce a farsi pubblicare sul Peterson’s Magazine una poesia firmata con lo pseudonimo di Flora Fairfield: quella prima pubblicazione che le frutterà cinque dollari sarà l’inizio della sua carriera di scrittrice. Da quel momento per tutto quello che riuscì a farsi pubblicare (storie gotiche, racconti di fantasmi, suicidi e amanti terribili) Louisa battagliò sempre con gli editori per ottenere non solo il giusto compenso ma anche le royalties più alte che potesse pretendere.


COME NASCONO PICCOLE DONNE E PICCOLE DONNE CRESCONO
Nel 1865 Louisa parte per un giro in Europa come dama di compagnia ed al suo ritorno trova la famiglia ammalata ed ulteriormente indebitata. Invia a giornali e case editrici le sue poesie e i suoi racconti gotici che narrano di morti e fantasmi ma questi non le fruttano più tanto. Così nel 1867 viene contattata da un editore che le chiede di scrivere un romanzo educativo per giovani donne che possa eguagliare il successo di ‘Pattini d’argento’ e ‘La capanna dello zio Tom’. Ma Louisa è contraria: per lei che non è stata una ragazzina virtuosa ma che fin da piccola ha combattuto le convenzioni sociali più con la rabbia che con i buoni sentimenti scrivere quel tipo di storie è una fatica enorme, non sa da dove iniziare. Così ricorre a ciò che conosce meglio: la vita di ogni giorno della sua famiglia. “Mi sarebbe del tutto impossibile inventare nulla di autentico, commovente anche solo la metà dei meri eventi che la vita mi mette avanti ogni giorno”. Il trenta settembre del 1868 esce Piccole donne illustrato dalla sorella Abigail che in meno di un mese dalla pubblicazione vende oltre duemila copie sommergendo l’editore di richieste da tutte le parti del Paese.
I suoi personaggi sono ispirati ai membri della sua famiglia e Jo è l’alter ego della scrittrice: dal carattere indipendente e dall’atteggiamento sbarazzino, un po’ mascolina nei modi Jo vuole bastare a sé stessa vivendo della sua scrittura e rigetta l’idea del matrimonio come unica via di sistemazione per una donna tanto da farle rifiutare ostinatamente la proposta di matrimonio dell’amico Laurie: per ammissione di Louisa, infatti, Jo sarebbe dovuta rimanere ‘una zitella devota alla letteratura’. Ma il mancato matrimonio tra i due scatena la delusione delle lettrici che la sommergono di lettere di preghiere e il biasimo dell’editore così che Luoisa sarà costretta, nel secondo volume dal titolo Good wives diventato poi Piccole donne crescono, a fare maritare tutte le sorelle e a combinare a Jo, come lei stessa ebbe a definirlo, “un matrimonio assai bizzarro”. Non dimentichiamo, che Louisa scrive per denaro e la sua penna si piega a quello che si vende non a quello che le piace scrivere. Così in poco meno di un anno, nella primavera del 1869, Louisa porta a compimento il secondo volume Piccole donne crescono lavorando a ritmi serrati (anche quattordici ora al giorno) adattandosi a scrivere anche con la mano sinistra, dopo che la pressione prolungata ed eccessiva esercitata sui fogli le procura una paralisi del pollice destro.

IL FEMMINISMO DI LOUISA MAY ALCOTT
Anche se Louisa visse all’ombra della famiglia rinunciando ad una che fosse tutta sua, in realtà più volte espresse la sua volontà di non volersi sposare proprio per non perdere la sua libertà e la sua indipendenza. “Non credo che mi sposerò mai; sono felice così come sono e amo così tanto la libertà da non volervi rinunciare per nessun uomo”. E ancor prima di affermarsi come scrittrice Louisa fece i lavori più disparati e umili proprio per non dover ricorrere al matrimonio come il mezzo più facile per assicurarsi la stabilità economica.
Dalla pubblicazione dei suoi scritti pretese sempre compensi giusti e le royalties maggiori non solo perché spinta dal bisogno ma perché credeva fermamente che alle donne toccasse di essere remunerate allo stesso modo degli uomini.
Nel 1874 fu una delle prime donne ad iscriversi alle liste elettorali di un comitato scolastico a Conrad dando così l’esempio alle numerose donne accorse all’evento solo per curiosare che non avevano avuto il coraggio di farsi avanti e nel 1875 partecipò al congresso delle donne di Syracuse battendosi per il suffragio femminile.
All’amica Maria Porter, poetessa femminista e abolizionista, che era stata eletta fra i membri del consiglio scolastico di Melrose, cittadina del Middlesex, Louisa suggerì di proporre al consiglio scolastico la riduzione dello stipendio del preside e l’aumento di quello della sua assistente perché, a parità di quantità di lavoro, tra i due fosse doveroso un uguale salario. In una lettera alla stessa amica del 1874 Louisa parla di libertà di scelte per le donne, di libertà di accesso per esse agli studi universitari per rompere i limiti entro i quali le convenzioni della «sfera femminile» le costringevano: “Non ne posso più di sentir parlare di «sfera femminile» né dai nostri legislatori né tantomeno dai predicatori sui loro pulpiti. Lasciamo la donna libera di scoprire i propri limiti. Facciamola accedere all’educazione universitaria per una cinquantina d’anni. A quel punto saremo in grado di dimostrare cosa può e cosa non può fare una donna, e le generazioni a venire potranno comprendere e definire in che consista questa «sfera femminile» molto meglio dei retrogradi figuri che vanno pontificando ai nostri giorni”.
Dopo la morte dell’ultima sorella rimasta, Abigail, e quella della madre Abby e dopo essersi sforzata ancora a scrivere per assicurare anche ai tre nipoti sicurezza e stabilità, all’età di cinquantacinque anni Louisa è stanca morta: i reumatismi non le danno tregua ed ha difficoltà a camminare. Anche le conseguenze di una terapia brutale somministratale per salvarla dalla polmonite tifoide contratta in un ospedale a Georgetown nei pressi di Washington durante la guerra di Secessione, le debiliteranno irrimediabilmente il fisico e saranno probabilmente una concausa della morte avvenuta il sei marzo del 1888: due giorni esatti dopo la dipartita del padre.
Il sacrificio di Luoisa May Alcott di essersi accontentata di scrivere ciò che non le era più congeniale viene ripagato quando ancora oggi, dopo duecento anni dalla loro nascita, questi romanzi educativi per ‘giovinette e giovinetti’ vengono venduti e letti in tutto il mondo. Quello che la stessa Louisa definì sarcasticamente ‘pappa morale’ in realtà ha la bellezza della vita vera, della quotidianità, della tenerezza delle tribolazioni degli adolescenti di ogni tempo che amano identificarsi in Jo, Meg, Beth e Amy.
“Piccole donne” è uno dei primi libri letti da bambina. Come i bei film che si guardano mille volte, il romanzo va ripreso, riletto, rigustato, perchè non stanca mai.
Conoscere la vita della sua autrice/protagonista offre un’altra scusa per riaprire le sue pagine ed esplorarle con mente e cuore nuovi.
Ciao Lori. Grazie sempre per avermi letto. Io non ho più Piccole donne ma ho trovato una versione anni Ottanta (per l’esattezza datata 1982) di Piccoli Uomini della Mondadori di proprietà di mia sorella (adesso mia ovviamente!). Probabilmente avrai anche questo volume ma se non così non fosse te lo presto con piacere: fa un certo effetto averlo tra le mani. E si è vero, posso dire che anche io ora rileggerei volentieri Piccole donne ma con altrettanto piacere riguarderei mille volte il film scritto e diretto da Greta Gerwig. E forse anche qualche versione più antica. Noi anime romantiche siamo così 😅
Ho un ricordo molto bello dei suoi libri e di questo film. Pur non avendo una propensione per le storie familiari, questa storia di donne che crescono così diverse e così unite, mi commuove sempre. Non conoscevo affatto la vita di L. M. Alcott e ti sono grata per questo pregevole riassunto. Pensa che ho naturalmente sentito parlare di questi podcast ma quando Michela Murgia era viva dicevo “ma si, poi li ascolterò, c’è tempo”. Invece il tempo poi passa e oggi non riesco a pensare di ascoltarli. Perciò ti ringrazio doppiamente. Una donna che ha sacrificato tutto a una idea che non so se l’abbia mai ripagata…
Ciao Elena. Grazie sempre per la tua presenza e il tuo sostegno: sono sempre emozionata di trovare qui un tuo riscontro a ciò che scrivo. Riguardo al podcast di Michela Murgia, ti dico che la puntata su Louisa May Alcott fu registrata da Chiara Tagliaferri quando lei non c’era più e fu una delle ultime tre perché poi il podcast si interrompe al primo di Ottobre del 2024. La narrazione di storie inconsuete, di vite al limite vissute con la morte accanto mi è sembrata molto educativa perché apre la mente verso realtà quasi impossibili da immaginare e fa emergere come la forza di volontà, la voglia di vivere, il senso di riscatto siano di fondamentale importanza per la sopravvivenza di chi è forse destinato a soccombere. Grazie e alla prossima 🥰