Una storia scritta con il cuore.

Racconto di Giusi Casella.

Presentazione di Paola Sposito

Ho scoperto che c’è un modo diverso di scrivere le pagine di un libro; ho scoperto che una storia può essere raccontata non solo a parole ma anche con le gambe, la testa e con il cuore.

Ho scoperto che una storia, lunga quanto una vita intera, si può sintetizzare in una settimana, 7 giorni, 164 ore e senza escludere le notti.

Quando l’ho scoperto? Il Ventidue aprile scorso quando trentanove atleti, uomini e donne, che praticano corsa in fuoristrada di lunga durata, si sono radunati nel paese di Cefalù, che sta sulla costa siciliana settentrionale affacciata sul Mar Tirreno, e da lì hanno iniziato a correre lungo strade, sentieri, mulattiere, pietraie e spiagge percorrendo un totale di cinquecento nove chilometri; hanno fatto un giro immenso per fare poi ritorno a Cefalù che, paziente, li ha attesi per una intera settimana.

Un viaggio lunghissimo, un pellegrinaggio, attraverso cinquanta comuni e quattro parchi regionali, la dorsale dei Monti Nebrodi ed il vulcano Etna con indosso solo l’amore ed il rispetto per la Natura e nel cuore la voglia di riuscire.

Chi ho scoperto in questo viaggio? Un’amica, un’atleta, una donna che ha nel suo bagaglio delle esperienze altre imprese titaniche lungo Alpi, Appennini e sgambettate su e giù per vulcani. Si chiama Giusi ed è mamma, moglie e lavoratrice prima ancora di essere una ultra-trail runner, come si dice nell’ambiente. Negli anni ha allenato i muscoli ed il cuore a sopportare fatica e dolori fisici, la mancanza di sonno e di cibo, la stanchezza e la solitudine. E, soprattutto in questa occasione, ha messo in pratica l’accoglienza e l’ospitalità, in lei innate, verso chi aveva bisogno anche soltanto di un po’ di compagnia per arrivare in fondo: compagni di squadra, conterranei e cittadini del mondo hanno trovato in lei l’alleata per alleggerire la sofferenza e condividere emozioni. Lei che da buona isolana ha nel cuore tanto sole da riscaldare anche chi le sta accanto.

Cosa ho scoperto? Che in questo caso la tecnologia è stata una valida alleata perché ha dato a tutti noi mortali rimasti a casa, l’opportunità di compartecipare a questa memorabile esperienza, e passo dopo passo al fianco di Giusi abbiamo scalato le salite più ripide, saltato sulle pietraie con gli occhi chiusi, camminato nel buio illuminandolo con il sorriso, abbiamo dormito con la paura di non svegliarci in tempo, mangiato per necessità e gioito dell’incoraggiamento degli amici.

Com’è andata l’impresa? Bene, l’abbiamo portata a termine, tutti noi, con le gambe ed il cuore di Giusi, tutti dentro la sua testa, siamo arrivati in tempo e Cefalù, con la sua montagna a guardarle le spalle, ci ha accolti in un immenso abbraccio!

Cosa non sono riuscita a scoprire? Le sue sensazioni, le sue emozioni, le paure, cosa aveva in testa quando camminava e a chi ha pensato per farsi coraggio quando temeva di non farcela.

E questo solo Giusi poteva dirmelo, così sono andata da lei a farmi raccontare la sua storia.

     Raccontare una gara di 500km di corsa in montagna a chi non ha mai corso…questa sì che è una sfida 😄. So già la reazione, ma tu sei pazza io non vado neanche dal divano alla cucina di corsa! Però la corsa è come qualsiasi vizio umano: bere, fumare, mangiare cioccolata,  ecco, io corro! E non riesco a smettere, e mi dà una sensazione di ‘mancanza’ se salto un allenamento, se non corro per troppi giorni, vi chiederete come sia possibile e io vi direi di provare per capirlo.

Cosa vuol dire preparare un Trail di 500km? Credo di non saper rispondere, non ho preparato proprio nulla, ho continuato a correre, andare in montagna, sciare, andare in bici, fare la mamma (allenamento super) come sempre nella mia vita, non sapevo se sarebbe bastato, forse no, ma la mia resistenza e la mia testa dura hanno compensato.

In fondo partire per un ultra-Trail è come partire per un viaggio, stessi dubbi, stesse incertezze. Cosa mi porto? Mi divertirò? Incontrerò gente simpatica? Ecco penso a questo, certo penso anche, ce la farà il mio corpo a sostenere la fatica? Sarò abbastanza allenata? Starò bene? E in fondo anche queste sono domande da viaggio.

E’ così che voglio spiegare le mie sensazioni a chi non è avvezzo a gare ultra. Io non sono una Pro, non corro queste gare per vincere, le corro per testare i miei limiti e per divertirmi.

Eccomi, come sempre la partenza è una festa! Musica, speaker, applausi, foto e tanta allegria. La mia famiglia che mi saluta e inizio a correre, da ora inizia la mia sfida, ho tanti pensieri in testa, ma inizia subito la salita e io penso solo a tenere il respiro sotto controllo. Potrei raccontare dei paesaggi, le bellissime Madonie del primo giorno, del freddo della notte sui Nebrodi, della forza che mi ha infuso la mia Etna, del vento sul crinale della valle del bove di notte che sembrava volesse spazzarci via. Potrei raccontarvi delle tre ore di sonno a notte che mi hanno fatto scoprire come il sonno vince su tutto anche quando stai correndo e la tua testa perde il controllo sui tuoi passi e ti ritrovi ad accasciarti e riprenderti. Che strano, pensavo i colpi di sonno venissero solo alla guida! Posso dirvi di aver goduto di albe e tramonti, del susseguirsi di prati, alberi centenari, paesi e alla fine di essermi concentrata su me stessa, resistere al dolore dei miei piedi massacrati, delle mie gambe stanche, della schiena che iniziava a mostrare insofferenza allo zaino. Ma il mio arrivo lo devo anche alla forza che mi ha dato la mia famiglia, presente ai ristori e alle basi vita, ai miei amici che si sono fatti trovare in vari punti del percorso per farmi compagnia, alla mia squadra che mi seguiva e incoraggiava. E alle persone con cui ho avuto la fortuna di condividere km su km, perché come in un viaggio e come nella vita, io so stare da sola ma sicuramente preferisco condividere quello che vivo.

Ho cercato e voluto lungo la strada dei compagni di viaggio ed è stato sicuramente un punto di forza, per condividere le paure, le gioie, i dubbi e il tanto tempo libero.

Nelle 164 ore di gara mi sono resa conto di che forza ha il nostro corpo ad adattarsi anche alle condizioni più estreme, e questo solo se la mente riesce a tenerne il controllo; mai scoraggiarsi, mai pensare che le difficoltà non possano essere superate, mai scegliere la via più facile del lasciar perdere.

In fondo una ultra ti consuma ma ti insegna tanto, come nella vita….mai mollare!

Cosa ci è rimasto di questa storia? La sensazione che, se la determinazione e il sacrificio di questi uomini e donne avessero potuto nettare tutto il nostro sofferente pianeta, credo che da qualche settimana a questa parte – e precisamente dopo il Ventidue Aprile – la storia attuale sarebbe molto diversa. Ma se con le sensazioni non si costruisce un mondo migliore, con gli esempi positivi, come quello che Giusi ci ha fornito, tutti noi, se vogliamo, possiamo elevarci oltre le piccolezze, la stupidità e le brutture e fare grandi cose.

Alla prossima impresa allora!

11 risposte

  1. Grazie Paola e grazie Giusi per questa bella testimonianza. Ho letto tutto d’un fiato, ho sentito le emozioni vissute, la fatica e la gioia per aver portato a compimento questa sfida. Come nella vita superare le difficoltà, i propri limiti ma anche le paure, ci fortifica,. L’importante è ….non mollare.

    1. Grazie a te per averci letto. Non è facile fare sentire a chi legge le sensazioni e le emozioni che si provano specialmente durante una prova così fisica come una ultra maratona. Ma una gara in fuori strada (e parlo per esperienza diretta) con i suoi percorsi accidentati, i suoi baratri pronti ad inghiottirti, le salite così erte che i metri che guadagni sono inferiori a quelli che perdi scivolando verso il basso, le discese da fare con estrema cautela perché alla fine sai che ricomincerai a faticare più di prima, la paura di intraprendere una strada sconosciuta che ti porta verso l’ignoto, è metafora della vita per eccellenza. E se nella vita puoi permetterti delle pause, nelle gare di endurance il livello di allerta deve essere sempre alto perché gli ostacoli sono sempre in agguato e bisogna reagire. Sempre.

    1. Ciao Giulia. Grazie a te per averci letto. Non si poteva non rendere pubblica questa impresa anche perchè Giusi era l’unica italiana tra i 39 atleti. L’unica italiana alla partenza ed all’arrivo. Un motivo di orgoglio in più.

  2. Per tanti anni la corsa ha fatto parte della mia vita e anche se non corro più da un po’,
    Quando leggo o ascolto racconti di corsa certe emozioni riaffiorano, perché si può smettere di correre con le gambe, ma mai con il cuore!!!

    1. Ben detto Stefania. La vita cambia e a volte o per costrizione o per scelta belle abitudini, come quella di correre, devono essere interrotte. Una buona soluzione sarebbe quella di ricominciare. In alternativa si può vivere la propria passione di riflesso attraverso le grandi o le piccole imprese altrui.

  3. Grazie Paola!!!
    Come sempre le tue parole arrivano dritte al cuore e grazie a Giusi per aver condiviso la sua “impresa” .

    1. Ciao Stefania. Sono felice che questo racconto particolare ti sia piaciuto. L’idea è partita dalla voglia di ascoltare anche nei dettagli l’impresa di Giusi che ho seguito grazie ai GPS. E poi lo sai mi interessava capire le sensazioni e le emozioni che Giusi aveva provato. In questo modo la condivisione è stata possibile. E grazie a te sempre per averci letto!

    2. Mi fa piacere Stefania che la mia avventura abbia destato il tuo interesse e chissà se non possa essere spunto per altre piccole e grandi imprese!

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