Maggio 2024

I rancori familiari aumentano se fomentati dalle lontananze, dai silenzi, da chiarimenti disattesi e il bello e il buono che abbiamo davanti agli occhi a volte non viene visto. Forse il modo per ristabilire gli equilibri sarebbe quello di guardare con gli occhi della innocenza e della leggerezza, lasciare che l’ingenuità in noi sopita riesca ad emergere per vedere quanto semplici possono essere in realtà le cose?

 

                  Le notti e il giorno si alternavano dentro quella stanza di pochi metri quadrati che da un mese a questa parte era diventata tutto il mondo di Laura. Nessuno ce l’aveva relegata, vi si era rinchiusa lei stessa da quando, dietro suo invito, era arrivata in casa del padre nella speranza di ritrovare lì un po’ di lucidità. Ma appena Laura lo aveva visto in aeroporto si era pentita di quella decisione: la rabbia nei suoi confronti la indusse a chiudersi in quella stanza e a non rivolgergli più la parola.

Quella mattina di inizio estate Laura si era svegliata irritata da un motivetto che l’aveva tormentata tutta la notte attivandole il cervello e strappandola ad intervalli al riposo notturno. Guardò la sveglia sul comodino: le 7.30 ed un forte mal di testa che le tamburellava le tempie. E poiché il miglior modo di liberarsi da quel tarlo era di trasportare quella musica fuori dalla testa decise di scendere dabbasso e mettersi al pianoforte.

La sua camera da letto odorava di sporco, di stantio e di pensieri in decomposizione. Con gli occhi ancora chiusi tastò il comodino alla sua destra per cercare gli occhiali da vista. Ma non li trovò. In fondo a cosa le serviva vedere? Così si alzò dal letto rimettendo a fatica in posizione eretta un corpo che da trenta giorni stava spappolato su un materasso che piano piano aveva preso la sua forma. A tentoni trovò maglietta e jeans e scalza scese per le scale che conducevano nell’ampio soggiorno. Uno Yamaha luccicante fronteggiava l’enorme finestra che guardava sul giardino mentre la luce del giorno illuminava tutta la stanza colorandola di un giallo intenso: avrebbe dovuto tirare le tende per proteggere gli occhi abituati da lungo tempo al buio ma preferì farsi colpire da quella luce accecante e dai colori violenti per averne indietro una piacevole sensazione di stordimento. Si sistemò sullo sgabello e con decisione iniziò a battere sui tasti producendo un suono sgraziato ma potente: le note, insieme ai pensieri tetri, stavano emigrando dalla sua testa. Ingobbita sui tasti, gli occhi a fessura per concentrarsi suonava come in trance. All’improvviso la porta scorrevole che dava sul giardino si aprì. “Mi scusi, ho bussato ma lei non mi ha sentito”. Laura trasalì più per la sorpresa di essere stata scoperta così dimessa e sciatta che per la meraviglia di trovarsi di fronte ad uno sconosciuto in casa di suo padre. Ancora china sul pianoforte ruotò sullo sgabello e scivolò tutta ingobbita verso il bagno a mettersi il reggiseno. “Dovrei vedere l’avvocato Giovanni Ventura” disse il giovane. “Sono il nuovo praticante dello studio. Mi chiamo Paolo Quieti. L’avvocato mi aveva dato appuntamento qui per studiare insieme il caso Folkner” – “Mio padre non c’è, almeno credo”, borbottò Laura ritornando al suo posto. Ma non fece in tempo a finire la frase che la domestica annunciò che l’avvocato sarebbe stato di ritorno dalla corsa mattutina in meno di mezzora. Aveva dimenticato che suo padre, sessant’anni passati, era ancora uno sportivo praticante: rispettoso degli animali di cui non si nutriva, lettore, cultore della cinematografia soprattutto americana, appassionato di viaggi spartani nella natura, un uomo perfetto insomma, che però non aveva avuto nessuna esitazione a mollare nel giro di una settimana una moglie, a cui era stato tardivamente diagnosticato un tumore, e una figlia (proprio lei, Laura) che, a quei tempi appena adolescente, da quell’abbandono avrebbe ereditato una depressione, una bulimia, una malattia psicosomatica e forti tendenze al suicidio. Ma a lui tutto questo non era importato se per cercare la propria serenità l’aveva tolta alla sua famiglia.

Laura non lo aveva mai perdonato: anche quando la terapeuta le aveva comunicato che la sua rabbia nei confronti del padre era stata elaborata, per affrancarsi da quel dolore era fuggita a New York dove si era curata bevendo superalcolici e fumando erba. 

“Posso aspettare fuori se vuole. È così bello il giardino. Mi fa bene un po’ di calore, non vedo mai il sole sempre chiuso in studio o a casa” – “Anche lei penalista?” chiese Laura non sapendo cosa dire – “Si, i primi casi che l’Avvocato seguì a Lisbona mi hanno ispirato. A quei tempi iniziavo la facoltà di legge ed io non perdevo nessuna delle cause dell’avvocato che venivano trasmesse in televisione. Posso dire con certezza che suo padre è un mito per me”. Un sorriso beato gli illuminò il volto e Laura pensò che quel tizio dovesse accontentarsi di poco se gli piaceva uno come suo padre. Alto e belloccio era ingessato in un completo blu che per quell’ora del mattino risultava inappropriato tanto che Laura lo etichettò senza indugi ‘un bel manichino’.  Quella rigidità esteriore però strideva contro i modi affabili e gioiosi del ragazzo. Così gioiosi che la urtarono. “Perché non viene fuori anche lei? Dal suo colorito intuisco che da un po’ di tempo non vede la luce del sole. Suo padre mi ha detto che è una pianista. Quel motivo che stava suonando è un inedito vero? Era molto bello”. – ‘Non solo babbeo ma anche ignorante di musica è’. Pensò Laura non riuscendo a trattenere una risatina di scherno.

Poi però la sua attenzione si rivolse  all’ultima frase che il ragazzo aveva pronunciato e una ondata di rabbia la colse in pieno: aveva smesso di fare il padre quindici anni prima ed ora si metteva a raccontare i fatti suoi ad un estraneo? Come aveva osato? Era contrariata e umiliata però, senza pensarci, accettò l’invito di Paolo. – “Farò un tuffo in piscina. Dubito che lei voglia imitarmi, a meno che non abbia portato con sé un costume” – ridacchiò in tono sfottente. Mentre lui le dava le spalle per aprire la scorrevole Laura sgattaiolò di nuovo in bagno dove si colorò le labbra con il rossetto che portava sempre con sé: un balsamo rosa per le labbra perennemente screpolate era la sua coperta di Linus che ormai da quattro settimane giaceva abbandonato in bagno insieme a tutta la poca roba che si era trascinata dall’America. L’appartamento a New York lo aveva svuotato in un’ora. Da quando aveva scoperto il tradimento del suo compagno, fare un biglietto aereo di rientro per Italia, svuotare armadio e frigo e chiamare un tassì per l’aeroporto erano state le attività a cui aveva indirizzato le ultime energie: il crollo fisico e mentale sarebbe arrivato appena occupato il posto in aereo. Quando suo padre la chiamò per offrirle un riparo Laura accettò subito dato che altri posti in cui andare non ne aveva ma appena lo vide gli rinfacciò che il suo aiuto era solo un mezzo per redimersi di tutto il male che le aveva causato. Imbarazzato per il tono sgarbato con cui lei gli parlava incurante delle centinaia di passeggeri e meravigliato da quella reazione che non si aspettava l’avvocato Ventura aveva negato: “Voglio solo aiutarti Laura. Sono tuo padre e ti voglio bene”. – “Perché non lo hai dimostrato quando ne avevo più bisogno? Era più semplice agire da codardo che fare il padre?” – “Le cose non sono come sembrano. E io vorrei spiegarti se me lo permetti.” Ma lei aveva ignorato quella richiesta e si era fiondata dentro l’auto di servizio che li attendeva oltre le porte scorrevoli. E da quel momento aveva chiuso il padre fuori dalla stanza e dal suo cuore.

Si presentò in giardino con una maglietta e un paio di pantaloncini e senza dire nulla si tuffò nella piscina bagnando il bel completo di Luca con gli schizzi. Lui indietreggiò divertito: “Lei è strana, ma divertente”, l’apostrofò ammiccando mentre le porgeva un telo di spugna poggiato sulla sedia a sdraio. “Ah si?” replicò Laura sorpresa. La sua espressione dura e spigolosa si era ammorbidita involontariamente. ‘Ha gli occhi buoni’ aveva pensato meravigliandosi di quel suo pensiero non appena lo aveva formulato. E mentre lei si asciugava lui parlava continuamente gesticolando e ridendo: trovava quella casa calda, accogliente, l’ambiente familiare e amorevole, per suo padre poi non trovava più aggettivi per lodarlo. “Scusa ma dove lo vedi l’amore in questa casa?” lo interruppe lei polemica scavalcando le formalità. “Beh, chi è quel padre che rinuncia ad una collaborazione nel più importante studio penalista di Stoccarda per stare con sua figlia? Che ha dovuto fare un pericoloso tira e molla con l’avvocato Rinaldi che aveva bisogno che il suo collega e socio coprisse quella posizione così prestigiosa in nome dell’intero studio? – ‘È solo per un anno, Giovanni’ – lo aveva pregato Rinaldi una mattina mentre discutevano nel suo studio. Parlavano a voce alta già da parecchi minuti e nonostante ognuno continuasse il proprio lavoro non si poté non sentirli. – ‘Un anno è troppo. Così perdo di nuovo tutto’ – sentii dire a suo padre. Rinaldi gli chiese cosa intendesse ma lui rispose evasivamente ‘questioni familiari’”.

Laura era attonita. “Sa, io non ho avuto una famiglia né qualcuno che si sia preoccupato per me per cui, caspita, sì che tutto quello che vedo qui trasuda amore!” sentenziò il giovanotto che nel frattempo aveva preso dal tavolo di ping pong una racchetta e la faceva ondeggiare muovendo il polso. “E’ così che si fa? Non ho mai giocato a ping pong” – disse tra sè. “Ti posso insegnare io, se ti va” lo rassicurò lei mentre, ancora colpita da quelle rivelazioni, scuoteva il capo con amarezza. “Ma sarebbe fantastico!” esclamò Luca estasiato. Quel ragazzo, con i suoi modi gentili, e garbati, e quel suo irritante buonumore, iniziava a piacerle: aveva ancora con sé la leggerezza infantile che lei aveva perso. Forse veramente le cose non erano andate come lei aveva supposto per tutti quegli anni? C’erano forse altre ragioni che avevano spinto il suo adorato papà ad abbandonare le due donne?

La governante ritornò annunciando che l’avvocato Ventura era rincasato. Nella luce abbagliante del mattino una figura imponente e rassicurante avanzava dal soggiorno verso il giardino. Quell’uomo che le aveva insegnato ad amare la musica, che l’aveva accompagnata a scuola al mattino e recuperata alla fine delle lezioni di danza, che spesso le preparava la colazione e rideva se il toast si era bruciato, che l’aveva consolata quando il cinico Giulio aveva tentato delle avances a lei non gradite; quell’uomo che aveva amato sua madre pur sopportando per anni l’altalena di crisi isteriche e depressioni indotte dall’abuso di alcoolici; quell’uomo che aveva amato e protetto sua figlia nascondendole una crudele verità, forse un giorno non aveva più sopportato tutto quel dolore? Altri ricordi le si palesavano ma Laura non voleva spiegazioni. Non ancora. Per il momento si limitò a sorridere a suo padre mentre gli andava incontro per ritrovarlo. Poi si girò verso Luca e gli sussurrò, ‘grazie’.

2 risposte

  1. Molto bello. La tua scrittura è delicata e profonda. Il rapporto tra padre e figlia lacerato, ha speranza di rinascere grazie ad un ragazzo, meno fortunato della protagonista, semplice e spontaneo che con poche parole riesce ad aprire uno squarcio nel vissuto della ragazza e le dona il desiderio di ricominciare

    1. Cara Grazia, in effetti a volte proprio gli incontri o le scoperte più inaspettate possono riuscire a stravolgere le idee che sono radicate in noi o, come in questo caso, i preconcetti che hanno portato Laura ad odiare il padre ed abbandonarlo. Probabilmente Laura qualcosa sapeva della depressione della madre che il padre tanto amorevolmente le aveva tenuto nascosto e quando le sue barriere si allentano i ricordi iniziano a riaffiorare. Basterebbe pochissimo per comprendersi e rispettarsi di più, vero? Grazie a te per avermi letta ancora una volta

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